Le chiavi




Una mano che per 4 secondi accarezza le pieghe di un lenzuolo con gli angoli. Le mie pieghe. La sua mano.
Dove sei?
Dov'ero?

Anche il mio portatile si sente, sfacciatamente, a casa sua, lì. Si connette al wifi soltanto quando sono sola, per non sottrarmi a lui, o quando insieme guardiamo Billions; dopo un litigio, mi avverte della sua ridotta autonomia per costringermi a fare pace. Cerco continuamente nessi e relazioni perché la casualità non mi soddisfa; voglio una ragione invisibile, e mi perdo in stranezze e considerazioni del genere, e ripenso sempre ai romantici, agli studi delle nuvole a diverse ore del giorno di Constable, al viandante sopra il mare di nebbia, all'anima vivificante, a Wordsworth:
A ogni forma naturale, roccia frutto o fiore,
le pietre, persino, che lastricano la strada,
conferivo una vita morale; li vedevo provare sentimenti
o li legavo a un sentimento: la grande massa
era impiantata in un'anima vivificante, e tutto ciò
che vedevo respirava di un significato interiore.
 
Ed è così surreale pensare da romantica pur avendo il cuore nella formaldeide.

Non riesco più a trattenermi oltre, il sabato mattina. Dalle sei, ripetutamente controllo l'orario. Mezz'ora e sono fuori. Ho provato a lasciare una mia maglia, ma è al cuscino messo in posizione verticale contro la sua schiena a cui devo questa piccola libertà. Ripeto a me stessa che sarebbe stupido non approfittarne, mentre mi incammino verso il lungomare, guardando il castello e i sozzi resti del recente venerdì abbandonati sul marciapiede. Che io corra, passeggi o mi addentri fra gli scogli, non c'è un istante in cui non mi chieda molte cose e non trovi risposte. Aspetto il signore con il suo cane, l'uomo che corre, e quando sopraggiunge un nuovo personaggio, capisco che è l'ora di colazione e letture a portar via.

Suono il campanello. Aspetto. Bacio il suo broncio per farmi perdonare. Simulo di aver fame per non tornare a letto.
(E' così strano, anche per questo blog, che io scriva in prima persona, come se dei miei pensieri e delle mie esigenze mi importasse, finalmente, qualcosa).

Ti ho mandato un messaggio e di nuovo l'hai lasciato a casa.
Te l'ho detto: voglio evitare di perdermi il mare, intenta a fotografarlo. (Cerco di reprimere questo mio desiderio di appartenenza, allontanando da me i mezzi e la tentazione di far come tutti. Non sempre ci riesco, si chiama equilibrio).
Ma tu ci pensi che io possa addormentarmi e tu rimarresti fuori?
Sì. (per questa eventualità, mi porto dietro più soldi per fare l'aperitivo al bar).
Io ci penso, in modo più intelligente di te, ché sei sempre una di vent'anni: neanch'io, alla tua età, pensavo a chi rimaneva a casa a preoccuparsi. Tieni.


La confusione di aspettative è evidente.


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