La congiura di Catilina



Pay attention: Sconsiglio la lettura di questo post a coloro che non amano particolarmente la storia e che non credono alla sua funzione di magistra vitae.

Pietra miliare della mia educazione adolescenziale, questa monografia è una lettura avvincente, tappa obbligatoria per i cittadini consapevoli e gli amanti della storia politica.
A differenza delle noiose subordinate ciceroniane, lo stile di Sallustio è caratterizzato da una sintetica immediatezza che riesce ad introdurti nel quadro generale, stimolando, di fatto, la curiosità per le vicende antecedenti.

Siamo nel 42 a.C. e Sallustio Crispo è un uomo politico che, da qualche anno, si è, forzosamente, ritirato a vita privata. Sebbene, nel proemio voglia lasciar intendere che le sue attività politiche furono d'intralcio alla sua vera vocazione, la storiografia "fui spinto alla vita pubblica dalla passione ma andai incontro a molte avversità (...) mi esponeva alla cattiva fama e al malanimo. Allora, quando il mio animo trovò sollievo dopo molte sventure e pericoli, decisi che il resto della mia vita l'avrei trascorso lontano dalla politica (...) ritornato alla primitiva occupazione, ossia lo studio, dal quale la nefasta ambizione politica mi aveva allontanato, decisi di scrivere i fatti storici di Roma", è evidente che esse abbiano contribuito alla formazione del suo pensiero, una sorta di impegno politico alternativo, per i più maliziosi, la ricerca di gloria in un ambito ancora inesplorato, e che, addirittura, abbiano interferito con la redazione di interi paragrafi: la munifica descrizione della figura di Caio Giulio Cesare, suo grande benefattore, ne è un esempio lapalissiano: "Cesare era considerato grande perché prodigale e generoso. Fu reso famoso dalla mitezza e dalla generosità, dalla prodigalità, dal soccorso prestato ad altri. Cesare si era proposto di adoprarsi a vegliare e per curare gli affari degli amici trascurava i suoi, non rifiutava nulla che fosse adatto per essere dato in dono". (Questa descrizione divenne, poi, parte di un aneddoto che sono solita raccontare quando le conversazioni virano sull'astrologia. La mia insegnante del liceo è, come me, del segno del cancro. Durante le lezioni di italiano e latino, era solita fare paragoni con i grandi personaggi della storia, Cesare, e della letteratura, Leopardi, del medesimo segno, lodandone le virtù come la spiccata sensibilità, la magnanimità, l'estro creativo, l'amore per la famiglia e la voglia di crearsene una propria, e la grande generosità. Poi concludeva dicendo "Badate bene: il cancro è uno fra i segni migliori, però non deve perdersi dietro sé stesso. La ricerca della gloria lo porta ad isolarsi da tutti, alla distruzione". Forse alludeva alla sua infelice condizione di donna sola, ma ho sempre preferito omettere quest'ultima parte).
Pur apprezzando gli introduttivi suggerimenti ad una proba ed onesta condotta, non posso che sorriderne. Nonostante fosse un italico non nobile, riuscì ad emanciparsi dalla sua condizione, e con i profitti (sospetti) del suo ultimo incarico come proconsole della Numidia, riuscì a comperare una residenza appartenuta a Cesare, di cui si ricordano, per bellezza e ampiezza, i fastosi giardini (Horti Sallustiani). Di conseguenza gli amari predicozzi che rivolge alla plutocrazia romana per gli eccessi del lusso sono retorici se non ipocriti. Inoltre, l'opera potrebbe benissimo nascondere allusioni e metafore indirizzate ai suoi contemporanei e, forse, la dura condanna alla congiura "inaudito crimine" cela un rimando alla più famosa delle Idi di Marzo.
Il periodo storico considerato (tra il 70 e il 60 a.C.) è più vicino al nostro tempo di quanto non sembri. Sallustio, descrivendo il declino dello Stato, in mano ad un'indifferente oligarchia senatoria (vi ricorda qualcosa?), sottolinea come la figura dell'ambizioso Catilina ne sia la diretta conseguenza. Egli, ostentando velleità democratiche, nasconde la propria brama di potere (vi ricorda qualcuno?) "fottendosene altamente" (cit.) del bene pubblico, e cercherà, più volte ed invano, di approfittarsi del vuoto politico e della confusione degli animi per compiere la propria scalata al potere, fino alla morte (almeno ha il dignitoso coraggio di affrontare l'atto estremo).
Per inciso, molti dei nostri rappresentanti politici, neppure quelli che ostentano enciclopedica erudizione, non sanno chi sia Sallustio o Cicerone, nonostante la frequenza (bassa) con cui utilizzino il termine "Catilinarie" e la frequenza (alta) con cui si macchino dei reati che, nei loro testi, vengono condannati con aspra durezza. Spero che le ampie citazioni contenute in questo post siano di ispirazione per il loro agire o, almeno, per i loro ghost writers. 

Come per le Finzioni di Borges, anche in questo caso, ho ritenuto necessario suddividere per argomento ogni contributo essenziale.

Res Pubblica
A me sembra davvero degna di commiserazione la classe dirigente romana di quel tempo; difatti (...) benché abbondassero tranquillità e agiatezza- cose che gli uomini reputano necessarie al di sopra di tutto- ci furono cittadini risoluti che intendevano mandare in rovina se stessi e lo stato. 
Contro costoro (i giovani n.d.r.) erano tesi gli sforzi della nobiltà che, con il pretesto di tutelare l'onore del Senato, intendeva accrescere la sua potenza; ma, per farla breve, in realtà, dopo la dittatura di Silla, tutti coloro che creavano disordini, non mancavano di nobili pretesti (...), fingendo di operare per il bene pubblico, in realtà si adoperavano per accrescere la loro stessa influenza. Certo è che costoro non avevano moderazione o ritegno nelle competizioni elettorali; gli uni e gli altri se vittoriosi si comportavano con ferocia.
Dal discorso di Catone in Senato: "Da tempo abbiamo perso il vero senso delle parole; difatti lo spreco del denaro altrui è detto "liberalità", la temerarietà nel compiere scelleratezze è chiamata "coraggio"; per questo motivo lo Stato è ridotto allo stremo. Siano pur essi- se è questa la moda attuale- prodighi del denaro degli alleati, siano pure clementi verso chi ruba il pubblico denaro, ma non sia consentito loro di dissanguarci fino in fondo; non sia consentito loro, mentre usano clemenza per pochi sciagurati, di mandare in rovina tutti gli onesti cittadini".

Valore. Onore.
Il valore dell'uomo risiede nell'anima e nel corpo; nell'agire l'anima comanda e il corpo obbedisce. La parte spirituale la condividiamo con le divinità, quella corporale con gli animali. Quindi mi pare più retto cercare la gloria più con l'intelligenza che con la forza. 
Quando l'indolenza subentrò all'operosità, la dissolutezza alla continenza e all'equità l'arroganza, allora i destini si mutano insieme ai costumi; così sempre il comando si trasferisce da persone meno capaci a quelle più capaci.
Molti uomini, occupati unicamente dal mangiare e dal dormire, rozzi ed incolti, sono soliti condurre la propria vita come fossero di passaggio. Questi certamente, contravvenendo all'ordine naturale, si servono del corpo come fonte di piacere, mentre l'anima risulta loro di peso. La loro vita e la loro morte hanno per me lo stesso valore: di entrambe si tace. Mentre considero uomo degno di tale nome colui che vive secondo i dettami dell'anima e ne segue i consigli e, dedicandosi a qualche occupazione, cerca onore da un'attività decorosa.
In tutte le cose la sorte è padrona e a suo capriccio, più che in base alla verità, le imprese vengono rese illustri oppure oscure.
Ora, se la prosperità riesce ad infiacchire persino l'animo del saggio, a maggior ragione costoro, dalla condotta sciagurata, non potevano moderarsi nel momento del trionfo sui nemici. 
Dall'ultimo discorso di Catilina prima dello scontro con Antonio: "Sono certo che le parole non rendono l'uomo più valoroso, che il discorso di un generale non rende coraggioso e impavido un esercito di vili e paurosi. Quanto più ognuno ha un animo audace, per carattere o esercizio, tanto più lo rivela in battaglia. E' vano esortare colui che né la gloria né il pericolo riescono a stimolare: la paura rende sordi. (...) In battaglia chi molto teme corre il maggiore pericolo. L'audace è invece come un solido muro".


Vita. Morale. 
In uno Stato, coloro che non hanno niente invidiano gli aristocratici, esaltano gli sciagurati, detestano le antiche usanze, plaudono al nuovo, si alimentano di disordini e sedizioni senza pensarci, perché chi è miserabile non ha niente da perdere.
La vita è breve ma viene resa più lunga dal ricordo che di noi lasciamo. Infatti il prestigio, che ci viene dal denaro e dalla prestanza fisica scorre come un fiume ed è fragile come un ruscello. La rettitudine, invece, risplende eternamente.
Ai potenti risulta più sospettosa l'onestà che la depravazione e per loro la virtù altrui è fonte di angoscia.
Agitazione e affanno dominavano gli animi, si diffidava di tutto e di tutti e ci si tormentava in una situazione che non era né di pace né di guerra, si misurava con il pericolo la propria paura.
Dal discorso di Cesare in Senato: "Quando si prendono in esame questioni poco chiare, è necessario non lasciarsi influenzare dall'odio e dallo sdegno, dalle simpatie e dalla pietà. Difficilmente l'animo discerne il vero quanto questi sentimenti lo offuscano."


Vizi. Disvalori.
Al desiderio di denaro si aggiungeva la brama di potere, e questi sentimenti, a loro volta, diventarono la causa della loro disgrazia. Dunque l'avidità annientò la lealtà, l'onestà ogni virtù; e al posto dei parchi costumi presero il sopravvento la superbia, la crudeltà, l'irreligiosità, il mercimonio. L'ambizione indusse molti alla falsità, a fingere sentimenti e lusinghe; insomma gente per cui le liti o gli accordi non dipendevano da sincere disposizioni d'animo, ma da volgare tornaconto; e nel volto simulavano benevolenza o dispiacere a prescindere da quanto avevano nell'anima.
In primo luogo era l'ambizione, più che l'avarizia, ad accendere l'animo degli uomini.
L'avidità non ama che il denaro; questa forma di avidità è simile ad un veleno mortale: illanguidisce il corpo e l'animo dell'uomo; è sempre inesauribile e insaziabile, né l'abbondanza né la penuria di mezzi riescono a placarla.
Dopo che le ricchezze cominciarono a rappresentare un merito e ne derivarono prestigio, autorità, potere, la virtù cominciò a intorpidirsi, la povertà ad essere considerata un disonore, l'integrità un'ostentazione. Così, i giovani, in conseguenza del lusso, furono invasi da libidine, avarizia, arroganza: rubavano e scialacquavano, stimavano poco il loro e guardavano con invidia le cose altrui, senza scrupoli né moderazione riguardo al pudore e alla temperanza; non distinguevano più le cose umane da quelle divine.
Mi sembra che questi si siano serviti dei denari in maniera vergognosa; danari che era possibile investire onestamente e che essi subito dilapidavano per fini immorali. Ma una non minore passione per orge e depravazioni e ogni altra dissolutezza aveva invaso il loro animo.
Cercavano dappertutto, per terra e per mare, delizie per la gola; dormivano prima di avere necessità di riposo, non aspettavano la fame, la sete, il freddo, la stanchezza; ma sopperivano a questi bisogni lussuosamente, prima che ci fosse reale necessità. Questo spettacolo abominevole incitava ai delitti la gioventù, quando il patrimonio cominciava a scarseggiare.

Catilina
...di nobili origini, godeva di gran vigore fisico e morale, ma era d'animo malvagio e depravato. 
Temerario, strisciante, mutevole, era bugiardo, era dissimulatore, desiderava la roba altrui e sprecava le sue cose per eccesso di cupidigia. Il suo animo smodato bramava sempre, insaziabile, di conquistare vette irraggiungibili, smodate, altissime.
Tutti quelli che avevano dilapidato il patrimonio paterno nella lussuria, nel bordello, nei banchetti, nel gioco, chi era stracarico di debiti per riscattarsi da fatti delittuosi (...); tutti quelli, insomma, che erano sconvolti dal rimorso della colpa e della miseria, tutti questi erano vicini a Catilina e suoi compari. 
Catilina si prodigava in ogni modo per farsi amici i giovani: li ingannava e catturava, profittando della loro giovanile inesperienza. A questo scopo Catilina non badava a spese né all'onore suo, pur di renderli obbligati a sé e fedeli. 
Il rimorso sconvolgeva la sua mente squilibrata; il volto esangue, gli occhi torvi, il passo ora svelto, ora lento, aveva l'aspetto e il volto simile ad uno squilibrato. (...) Si può ben dire che la sua malvagità era gratuita e crudele.




De Catilinae coniuratione
Gaio Sallustio Crispo
-monografia storica-
42 a.C.




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