Il buio




Stamattina ho aperto il giornale di ieri. Le gambe sulla sedia, il tè in equilibrio sul bracciolo della poltrona, il telefono che squilla.
Non posso risponderti. Non posso dirti che stasera non verrò a casa tua, ché io, a casa tua, vorrei renderti felice ma non ne sono in grado.

Devo scrivere sei articoli. Ne mancano solo due. Lavoro senza ricevere un centesimo da quattro anni e per questo mi chiamano superba, nel senso di superiorità arrogante, giacché, chi disprezza il denaro deve necessariamente essere oggetto di invidie assortite.
L'ufficio stampa del primo cittadino mi chiama dalle otto e trentadue. Non ho risposto a nessuna delle quattro telefonate.

E tu, Davide, se stai leggendo come ogni mattina, sappi che stasera ci vedremo. Andremo insieme a comprare quei pantaloni che ti piacciono tanto, e a sperperare quello che rimane sul mio conto giovani. Ma adesso, ti prego, non chiamarmi più. Sei premuroso con me e questo mi rattrista, perché il tuo rivale non lo è affatto. Ed io non voglio più fare paragoni, che l'altro pretendente ne rimanerebbe sconfitto. E' squallido il suo modo di amarmi rispetto al tuo, e faccio finta di nulla.





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