La prima notte





Mentre si butta sul letto, io sistemo, nelle grucce foderate di velluto, gli unici due abiti che ho messo in valigia, nero in pizzo e chiffon di seta blu elettrico, un paio di pantaloni blu comprati a prezzo pieno durante i saldi, e tre maglie molto delicate, per le quali ho pure portato un ferro da stiro da viaggio, che poi verrà usato per stirare ben due delle sue camicie.

Mi lancia uno dei cuscini decorativi, centrandomi la schiena. Cerca di attirare la mia attenzione. Vuole giocare con me.
Lo ignoro, continuando a sistemare le poche carabattole che restano nella sala da bagno.

Parla al telefono -con il receptionist del bureau o con i suoi familiari o ancora con alcuni conoscenti,  -non so, e voi sapete che non mi interessa origliare- e preferisco approfittarne per chiamare casa.

Al mio ritorno lo trovo già alzato.
"Fra venticinque minuti arriva la nostra macchina"
"Direzione?"
"Mettiti l'abito blu. E voglio che ti cambi qui, davanti a me, con naturalezza"

Non ho potuto portare un maglione, un paio d'orecchini, un cellulare, una pochette. Niente. Solo l'abito blu e i sandali con le pietre dure. 
Non gli ho rivolto la parola per circa un'ora. Sono rimasta in silenzio e ho goduto del suo abbraccio, del modo elegante con cui ha impartito istruzioni al driver, del suo odore.

Piazza di Trevi. Di nuovo la proposta, preceduta dallo scaramantico lancio della monetina. Di nuovo quel bagliore accecante. E di nuovo il mio rifiuto.

Stavolta, meno deciso. Un rifiuto che, a guardarlo bene, sembra una sospensione temporanea. 

Anzi, dopo la prima notte, quasi non è più un no. 




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