Spostati, per favore, ché hai un piede sul mio cuore



Non temo gli sconosciuti. Ripongo, in chi non conosco, più fiducia che nelle persone a me già note.
L'estraneo non mi è straniero. Nei suoi occhi potrei scorgere la gentilezza, che manca ai gesti di un mio amico. Nelle sue parole la motivazione, che dovrei ricevere da persone a me care. Nel suo animo la verità, che mi viene negata da chi finge di amarmi.

Temo i conoscenti. Quella razza negletta di aspiranti persone. La folta schiera di rapaci pronta ad utilizzare qualsiasi informazione su di me contro di me.

Temo le persone che mi stanno più a cuore. Quei tali che millantano sentimenti. Quegli esseri spregevoli che non posso fare a meno di amare. Quell'ignobile cerchio ristretto che conosce la verità e si prende gioco della mia vita, con indifferenza ed egoismo. La piccola folla per cui sarei disposta a dare tutto, financo la mia stessa vita, non riesce a donarmi neppure un sorriso, un paio di minuti, un'attenzione gratuita.

Non temo le chiacchiere di conosciuti e sconosciuti. Non le temo più.
Sto imparando a comprendere che "chi non ha pace non da pace" sia più veritiero di tante giustificazioni.
Continuo, invece, ad avere paura della cattiveria e dei luoghi comuni, in virtù dei quali io dovrei soffrire perché riesco a mascherare "davvero tanto bene" il dolore, e dovrei continuare a farmi calpestare in qualsiasi ambito della mia vita perché "in ventidue anni hai sempre detto sì a tutto: lavoro gratis, impegno scevro da qualsiasi genere di gratifica, sentimenti e sentimentalismi donati a tutti e come se piovesse. Continua a farti trattare male, ti riesce proprio bene".

La metafora della mongolfiera diventa stile di vita: gettar via le zavorre, gli odiosi sacchetti di iuta grezza colmi di sabbia, per volare in alto. La circonferenza del cestino consiglia la capienza di due persone a bordo. Tu sei qui, non mi abbracci ed io comincio ad aver di nuovo paura. "Spostati" - ti chiedo - "per favore, ché hai un piede sul mio cuore" ma tu continui ad arrampicarti su di me. Stringi una fune e ti servi di me per raggiungere lo scopo, per librarti, anche se da solo hai avuto paura -mi sono fatto del male. Tu non dovevi lasciarmi per così tanto tempo. Adesso devi stare con me -. Paura, sì, egoistica paura della solitudine che non lascia spazio alla risoluzione, alla ricostruzione.

Abbiamo ripreso quota ed io vorrei solo buttarti giù. Stavolta senza ripensamenti.




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