La sodomia dei sentimenti



La difficoltà del saper mettere in riga due o tre parole, di quelle belle ed intense, nei momenti di maggiore tristezza è la stessa difficoltà che si prova nel compiere il medesimo atto nei momenti di maggiore felicità.
Il sentimento ti avviluppa, ti sodomizza, ti coinvolge, ti sottomette, tanto da farti vivere in e per esso. Ogni suono, ogni voce, ogni frase, ogni sfumatura, ogni luce, ogni sogno, ogni pensiero, ogni silenzio, ogni ricordo, ogni voglia, ogni singolo e minimo e immenso avvenimento diventa materiale dell'anima.

Impossibile non rimanere folgorati, come Paolo l'esattore, da quel suono, da quella voce, da quella frase, da quella sfumatura, da quella luce, da quel sogno, da quel pensiero, da quel silenzio, da quel ricordo, da quella voglia e da quel singolo avvenimento.

Quasi impossibile riuscire a liberarsi da questa ossessiva sottomissione volontaria. Perché l'Uomo vuole il dolore. Perché l'Uomo vuole il piacere. Perché l'Uomo è vivo solo quanto sente, quando prova, quando soffre, quando ama.

L'utilizzo salvifico del "quasi" diventa, quindi, straordinario antidoto contro le situazioni più disperate. Il "quasi" come luce in fondo al labirintico tunnel (un banale esempio di nociva risonanza: triste, nero, buio, tunnel, tunnel of love, dire straits).

Il "quasi" è assenza di giudizio. Per un solo, gaudioso, attimo, si può guardare e provare senza sentire. Per un solo, meraviglioso, istante, possiamo perdonarci e sperare. Per un solo, celestiale, momento, siamo liberi.


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