Disdicevoli pensieri




Capita che io provi vergogna per dei miei banalissimi pensieri. Talmente ridicoli che, se confesso, vengo derisa.
Dovrei vergognarmi per altro, la gente pensa così in grande... ma d'altronde cosa potrebbe mai capirne una che sempre più spesso gioisce nel trovarsi involontariamente su un altro piano rispetto al sentire comune?
Dovrei temere il mio totale disinteresse  per ciò che amano tutti ed invece mi spaventa pensare a quanto mi isolerei, molto più di adesso, se mi volessi davvero bene. 

Aver bisogno degli altri, per abitudine o costrutto sociale, è fra le cose di cui ho più paura. 
Ti costringe a tessere relazioni di cui potresti benissimo fare a meno, perché il legame non è emotivo ma utilitaristico. 
L'altro non ti manca, ti serve. 
Le persone non sono esseri senzienti di cui rispettare desideri, bisogni ed inclinazioni, ma strumenti da influenzare e usurare con le proprie risibili necessità.

Se avessi davvero stima di me, non baderei alle aspettative sociali secondo cui devo uscire anche quando non ho voglia, lasciare che qualcuno mi scopi così da poter esprimere liberamente anche delle scomode opinioni senza che queste siano interpretate come mancanza di cazzo, aiutare la gente che ha appena finito di calpestarmi, lottare per una carriera prestigiosa.

In realtà, credo sia questo uno dei motivi per cui non lascio che la gente si avvicini troppo a me. E' troppo facile stare accanto o desiderare di aver accanto una persona che non è mai indiscreta, che ti aiuta a portare le tue zavorre, che non si mostra visibilmente triste, che ha sempre una parola gentile e un sorriso da offrire.

Ed ecco il pensiero sconveniente perché superbo: a volte, vorrei trasformarmi in un essere esteticamente ripugnante e moralmente riprovevole solo per constatare in quanti continuerebbero a volermi accanto; in quanti sarebbero pronti al peggio per darmi il meglio.
Solo in quel caso permetterei che qualcuno si avvicinasse a me, senza riserve.

Se fossi triste, a terra, senza nessuna prospettiva o slancio, mi fiderei delle altrui intenzioni.
Se fossi senza niente da dare, neanche un sorriso, mi concederei la debolezza di far entrare qualcuno nella mia vita.

Mi vergogno, poi, a pensare a quanto mi deluderebbe la gente se dovessi mai trovarmi in una situazione di necessità.
Ho sempre creduto che risolvere tutto da sola fosse un modo per accrescere la mia autostima, senza rendermi conto che, ciò che etichettavo come ricerca di superiorità manifesta, era un modo istintivo per proteggere me stessa dalla noncuranza, dallo scontrarmi ancora una volta con l'altrui inettitudine morale.

Ed è, infine, terribile pensare che se riuscissi a svincolarmi dal giudizio, se fossi davvero indipendente, perfino dalla mia indole, dalle mie voglie, dalle mie preferenze, passerei la vita a cercare di schivare la gente che pretende qualcosa.

Da una relazione con gli altri, io voglio di più del mero utilitarismo e al contempo non voglio alcunché.
Perché, forse, per tanti non avrà valore l'accostarsi all'altro, senza abbarbicarsi alla sua vita con le proprie tentacolari pretese, solo per volergli bene, per desiderare ed adoperarsi affinché sia sereno; per quanto mi riguarda, la gratuità, è tutto.

Anzi, è l'unica cosa che importa.




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