Chance




Per un essere pessimista per ottimismo, avere ragione è una disdetta. 

Raffigurarsi gli scenari peggiori. Incupirli. Crederci. Fomentare questa malsana condotta al solo scopo di essere stupita dalla realtà, di sbagliarmi.
E poi, finalmente, capire che neppure la mia fervida immaginazione avrebbe mai potuto spingersi oltre il confine di quello che già considerava l'inconcepibile in fatto di miserabile squallore.

La constante voglia che anima una persona a cercare lo stupore è foriera di sbigottiti esempi su quanto il proprio buon senso non debba essere tacciato di insano snobismo, bensì venerato come residuo dell'ancestrale istinto di sopravvivenza.

Ma, tra le mie contraddizioni e le altrettante controindicazioni, c'è questo invisibile tarlo che mi impone di darmi una chance nel dare delle chance. Mi instilla il dubbio. Mi sprona a provarci. Nonostante il buon senso. Nonostante l'angoscia. Nonostante la non voglia.

Ed io ci provo. Mi impegno.
Come una figlia ubbidiente, una scolara diligente, una notte consenziente.

Mi preparo all'eventualità di un'uscita con "gente-novità" come se fosse l'ultima cena. Perché l'effetto meraviglia risulti amplificato, nella lista delle catastrofi, annovero una serie di fantasie surreali sulla serata. Infine, mi preparo con cura e aspetto che il mondo mi sbugiardi, che la gente si riveli al di sopra delle mie infime aspettative, che un sorriso sincero renda notoria e biasimevole la mia altezzosa indole.

Presentazioni brevi e disoneste. Si parte spediti verso rovinose mete: che il carosello di mostruosi figuranti abbia inizio! Donne che odiano i propri ex tanto da farne argomento prioritario in tre ore di conversazione. Racconti da Ibiza. Mani sul sedere. Uomini che si vantano delle loro auto. Battute oscene. Racconti della depressione post qualsiasi evento imprevisto e di litigi con i colleghi. I corsi in palestra. I ragazzi in palestra. Le ragazze in palestra. Gli alcolici come scusa, come vizio, come abbraccio. Il non saper accettare un rifiuto alle richieste meta-sensuali (ché un pretendente non deve necessariamente essere orribile o ineducato, può semplicemente non piacere e deve capire un rispettoso "no, grazie"). Le nudità ineleganti. E poi, l'ossessione per il denaro. Soldi. Soldi. Soldi. "Voglio fare più soldi" leitmotiv di tutte le conversazioni. Gente che racconta divertita come ha venduto la nonna su depop. Trentenni che vogliono aprirsi un blog dopo aver speso quaranta euro in poliestere da zara, "così mi ripago gli acquisti o mi regalano i vestiti cinesi". A i "voglio risparmiare" corrispondono sempre i "Stasera, si sciabola. Tavolo vip. 1000€ in bottiglie. No pezzenti. Ovviamente, mia ospite.". A "voglio un uomo pazzo che mi fa ridere" i "ma quello è un poveraccio squilibrato".

Stavo per cedere a "mi sono venduta l'oro bruttissimo del battesimo per comprare i ciondoli del pandora, che almeno li uso tutti i giorni" con un "ma sei completamente pazza?! sicura che i tuoi nipoti apprezzeranno i tuoi gusti in fatto di accessori?" La risposta lapidaria "io non ci penso mai a miei nipoti. non credo che mi sposo. e poi mi voglio portare tutto nella tomba. faccio sacrifici per la louis vuitton mica per lasciarla a loro" mi ha lasciata senza parole (e questo non è il genere di stupore che mi sarei aspettata).

E se gli incontri reali non fossero abbastanza, anche alcuni fra i pochi scambi di vedute virtuali presentano una serie di peculiarità da non sottovalutare (e da non elencare).

Eppure, la gente sembra normale. Con il proprio diploma di laurea, il lavoro sicuro, le famiglie allargate, i tanti gruppi di amici, le serate in discoteca, il fidanzato nuovo grazie a cui ha smesso di prendere gli antidepressivi, gli anticipi in concessionaria, le vacanze fatte coi prestiti a 48 mesi. Sembra felice. Sembra.

Queste chance mi danno, certo, l'occasione per rivalutare la mia vita e mi fanno sentire davvero fortunata. Ma questi rinforzi personali non bastano a colmare il senso di impotenza nei confronti delle insoddisfacenti esistenze degli sconosciuti che mi circondano, di cui sento il peso morale come se fossero dei "figliol prodigo 3.0".




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