She. Old Stories. 7
Dopo l'ennesima litigata, uscì in giardino.
Aveva bisogno di immergersi nella tranquillità, di guardare quella natura buona e docile. Sapeva che seguire la propria natura non necessariamente equivaleva ad utilizzare un comportamento rozzo e privo di qualsiasi misura. Il giardino avvertì il suo bisogno di serenità e si prodigò affinché neppure il leggero vento potesse darle fastidio.
Toccando una foglia si ritrovò a presentarsi al ficus benjamin, come se gli avesse stretto la mano.
Di solito si accorgeva di ogni gesto strano, ma stavolta, seguendo la natura benigna, le sembrò talmente naturale che non la impensierì affatto.
Il ficus era alto più o meno quanto lei. Alcune foglie bucate segnalavano la presenza di un parassita. Non era malato, ma aveva bisogno di cure più insistenti. L'inverno precedente, lei aveva cercato di metterlo a riparo dal freddo e dalla pioggia, portandolo in casa. L'aveva sistemato vicino ad una finestra che apriva sempre nel primo pomeriggio. Il ficus aveva subito chinato la folta fronda e aveva cominciato ad ingrigirsi. Silenziosamente le gridava la sua sofferenza, che non sopportava il tepore tanto caro agli uomini. In giardino il suo ritorno venne accolto con una grande festa. Il sole splendeva e mentre lei sistemava le radici dentro la duna originaria pensò di aver riparato al grave atto di violenza che aveva perpetrato contro quella pianta. La stessa violenza che veniva compiuta su di lei, triste ma silenziosa.
Durante il trasloco del ficus, si era rovinosamente graffiata lo stinco sinistro. Le cicatrici sarebbero state notate da lui solo sei mesi dopo, al mare.
Il ficus rispose al suo saluto facendo ondeggiare il fusto. E ogni sospiro, ogni singhiozzo, ogni sguardo, il fusto tornava ad ondeggiare come per minimizzare o enfatizzare le sfumature dei suoi racconti.
Lei raccontò della sua favola. Lui era stata una boccata di aria fresca, era stato il suo giardino. Le prime parole che le aveva rivolto erano state meravigliose.
Le aveva promesso di viverle sempre accanto, con amore e senza recriminazioni. Lei sentiva di potersi fidare ed affidare.
Per aver gioito troppo in fretta, per analogia del contrappasso, l'affidabilità insieme alla reperibilità divennero gravosi problemi con cui convivere tutti i giorni. Il telefono che squilla fino alla fine. I drammi personali che si incatenano all'anima. Le promesse dimenticate, le promesse da mantenere per farla tacere.
Ma sopratutto, il male della chiusura. Lei aveva sperimentato la libertà da quella solitudine così minacciosa che porta via il sorriso, che scava nella coscienza, che vive cibandosi di lei. Era quasi riuscita a debellare quel parassita che corrodeva la sua mente, che avvizziva le foglie della gioia di vivere.
Quando ritornò a chiudersi in se stessa, si sentì sconfitta per sempre.
In che modo ti è venuto in mente di associare la vita di questa ragazza a quella di una pianta? E' perché la consideri un vegetale senza nessuno slancio vitale?
RispondiEliminaIl ficus ha manifestato una sobria ma decisa volontà di cambiamento. Lei è peggio di una pianta. Potrebbe, forse, prendere il ficus ad esempio.
RispondiEliminaModerna Kafka
RispondiEliminaSanto
Sinceramente non ho capito la tua risposta. A chi ti riferisci? Chi è peggio del ficus? Se parli di me, non vorrei scadere nel ridicolo, ma penso che non hai capito nulla.
RispondiEliminaCara Francesca, no. Non mi riferivo a te, ma alla mia She. Non ti voglio capire, né mi voglio giustificare.
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