Gunga Din
L'acqua era lercia. Non aveva indossato i guanti e strizzava un pezzo di tela bucato su un secchiello di fortuna, dal fondo nero. Preferiva toccare a mani nude quel lurido strofinaccio piuttosto che infilare, tra le falangi, il sudore di mille sconosciuti.
Piegandosi, si specchiava sul buio riflesso, oscillante per le copiose gocce di sudore che si tuffavano dalla punta di quel naso dal setto deviato. Di certo, non ricorda quando accadde, quando cadde e pianse, ma lo sgomento con cui sua madre lo racconta le ha sempre messo in cuore un'indicibile tristezza.
Quei 18 metri quadrati le sembrarono un'infinita sequela di puntini, spazzati via una prima volta e lavati con perizia per le successive due.
Dopo aver chiesto la chiave, era scesa, pregando sottovoce di non trovarsi davanti insetti e ratti; nonostante la paura, era arrivata per prima con il preciso intento di gestire il lavoro con il suo metodo. Agli anziani piaceva tanto impartire ordini, gli stessi che non rispettavano da giovani e che continuavano, con impertinenza, a snobbare. Cercava la fortuna, quell'immenso briciolo di felicità che risiede nelle retrovie, la solitudine per poter fare per bene del bene. Ne trovò per circa un'ora, giusto il tempo di tirare a lucido i pavimenti, mettere in fresco da bere, pelare gli ortaggi, ascoltando musica poco edificante.
Le chiesero delle vacanze guardandosi attorno: sindacarono solo sul modo in cui aveva steso lo straccio.
Sorrise e, continuando con insistenza a lavarsi le mani, rispose. A fatica, riuscì, infine, a togliere del nero sulle unghie laccate di Yacht, e mentre le ascoltava ciarlare fra loro, si chiese se si sarebbe ugualmente trovata lì in altre condizioni. Se al posto della manicure rovinata, avesse avuto le mani corrose dall'onicofagia. Se al posto della cipria minerale, in quel prezioso cofanetto avesse riposto della cocaina. Se i suoi genitori non le avessero imposto di mangiare quel mese. Se nel suo bicchiere preferito, il verde tè avesse ceduto il posto alla bionda birra.
Il disfacimento l'attraeva; in fondo, doveva solo continuare a fingere di essere utile, di fare qualcosa di buono.
Il pensiero decadente l'accompagnò fino a quando si tolse il grembiule. Poi, giacque appeso, guardandola andare via, alleggerita, felice, la stessa di sempre.
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